Percorso

L'inchiesta: "Quasi quasi... giro un documentario"

Viaggio-intervista nel mondo della documentaristica sarda. Sull'Isola, grazie all'evoluzione del digitale è diventato molto più facile produrli. Abbiamo chiesto ai protagonisti (Figus, Mocci, Cao) perché la nostra terra è un laboratorio privilegiato: ecco cosa hanno risposto. Di Maria Elena Tiragallo

 Nella foto: Ignazio Figus. Racconta in modo oggettivo una determinata realtà, senza presentare il punto di vista del regista. Testimona con gli occhi di chi non conosce e vuol scoprire per sapere. E' il documentario, prodotto cinematografico destinato a promuovere tradizioni, storie, arte, natura, antropologia. Per realizzarlo, al giorno d'oggi, con l'avvento dell'era digitale, basta solo essere muniti di un'ottima telecamera.
Si differenzia dal cinema fiction anche per i costi ridotti che richiede. Numerose sono le iniziative, i festival, i concorsi dedicati a chi li produce. A Bellaria Igea Marina, in provincia di Rimini, in questi giorni arriva il festival dedicato interamente al documentario italiano. Dall'1 al 5 giugno va in scena la 25esima edizione di "Anteprimadoc- Bellaria Film Festival", diretto da Fabrizio Grosoli. Dall'Emilia alla Sardegna c'è giusto una bella fetta di mare, in mezzo la quarta edizione del concorso dell'Istituto Superiore Regionale Etnografico (Isre) all'insegna della promozione della pratica dell 'antropologia visuale tra registi e/o antropologi nati o residenti in Sardegna. Un'iniziativa che richiama alla mente i tanti lavori dei registi sardi: dai documentari sulla natura di Giancarlo Cao, regista cagliaritano, ai fenicotteri di Davide Mocci. Il nostro viaggio/intervista inizia con Ignazio Figus, responsabile documentarista dell'Istituto Superiore Regionale Etnografico.

Come e cosa comunica un documentario?
Comunica grazie alla scansione della realtà, senza togliere al cinema di finzione la capacità di illustrare problematiche di varia natura. Il documentarista propone un punto di vista oggettivo, non soggettivo. Quello naturalistico però, o storico, è diverso dal documentario etnografico in cui sono i protagonisti sono gli stessi attori, che in qualche modo vengono allo scoperto, lasciano trapelare le loro emozioni o stati d'animo esprimendo il loro parere.

Perché in Sardegna i registi stanno producendo così tanti documentari?
Perché i costi sono ovviamente inferiori. Una telecamera digitale può essere acquistata anche a prezzi abbordabili e, se saputa usare, può dare un prodotto dignitoso. La fiction, al contrario, presenta costi inaccessibili per chi è un giovane regista alle prime armi. In questi anni ci sono state molte iniziative a favore del documentario, per cui i soggetti sono stati sensibilizzati. In sintesi: il documentarismo fornisce buoni risultati anche con bassi investimenti.

Il documentario va più di moda rispetto a un film?
Mi pare eccessivo sostenere una cosa simile. Se il documentario riuscisse ad arrivare nelle sale ne godrebbe anche più gente. Voglio citare "Piccola pesca" di Enrico Pitzianti a dimostrazione del fatto che il documentario ha successo anche tra il pubblico. Non dimentichiamo che le prime pellicole sono nate con l'obiettivo di documentare la realtà.

E' giusto parlare di crisi del cinema?
Non credo. E poi io non faccio distinzioni: per me, si tratta di due prodotti cinematografici che hanno la stessa collocazione. La vera crisi del cinema di finzione è la distribuzione, che preferisce soggetti leggeri, d' intrattenimento. Il risultato? La gente non conosce certi prodotti d'alta qualità. Anche quando il documentario è puro cinema.

Le capita di preferire il documentario al cinema?
Amo molto il cinema di finzione, ma non credo si debba preferire uno stile all'altro. Piuttosto si dovrebbe sempre avere la possibilità di guardarli entrambi. Cosa rara ai giorni nostri...
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