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Percorso

Il sogno di Tornatore

Incontro con il regista che a Palermo ha presentato il libro "Baaria, il film della mia vita". E a Cinemecum rivela: "Sin da piccolo non ho mai voluto fare altro che stare dietro la macchina da presa". di Luisa Mulè Cascio

Giuseppe TornatoreUn incontro rivolto principalmente ai giovani studenti palermitani quello col regista Giuseppe Tornatore e col giornalista Pietro Calabrese del 14 ottobre scorso, nella bella cornice del Palazzo Steri di Palermo, per introdurre il libro "Baarìa, il film della mia vita", organizzato dall’Università degli Studi di Palermo in collaborazione con l’Istituto Gramsci Siciliano.

Tra ringraziamenti e dissertazioni sul film e sul libro/intervista, che risulta essere non solo un semplice reportage sulla lavorazione e il significato del film, ma soprattutto uno spaccato sulla vita di Tornatore, il regista ha dichiarato, incoraggiando i giovani: «Cercate di capire se il vostro sogno è autentico, se lo è non dovete guardare in faccia nessuno pur di realizzarlo. Arrivato a Roma da giovane ho trovato tanti “no”, e quindi, da bravo siciliano che legge Pirandello, mi sono detto che quando mi dicevano “no”, io li interpretavo come “sì” e andavo avanti. Facendo così qualcuno mi ha lasciato parlare.»
 
Giuseppe TornatoreE ancora, riferendosi al rapporto tra il suo film e la sua terra: «Sono felice che il film faccia discutere e ponga interrogativi come “ma la Sicilia che tu da bambino consideravi epica non lo è più? Fa ancora parte della storia?” La Sicilia è protagonista della storia. Oggi forse ha perso l’orgoglio di far parte della storia e deve riconquistarlo. Nel film la mosca viva dentro la “strummula” rappresenta simbolicamente questo concetto».
 
La Tunisia è stato il set del suo ultimo film, che cosa ne pensa di questo paese? Se ci sarà occasione farà altri film ambientati in Tunisia?
Ho lavorato benissimo in Tunisia, anche se è stato solo un luogo di servizio per il set di Baaria. Se dovesse accadere di tornare a lavorare in Tunisia lo farei volentieri.
 
Giuseppe TornatorePerché il film è stato realizzato in due versioni, una in dialetto baarioto e una in italiano? Perché non realizzare solo la versione in baarioto con i sottotitoli in italiano?
Questa è una questione complessa. Il film in tutta Italia, tranne che in Sicilia, è stato distribuito in italiano, ma nelle grandi città italiane c’è sempre almeno un cinema che trasmette la versione in dialetto. Non sono stati usati sottotitoli perché il popolo italiano in generale odia i sottotitoli nei film. È più un qualcosa relegato ad un pubblico di nicchia, e noi volevamo rivolgerci a tutto il popolo italiano, nessuno escluso, quindi questa è sembrata la soluzione migliore.
 
Cosa voleva comunicare con la scena delle tre rocce nel film?
Una delle tante idee del film era quella del rapporto tra l’uomo e la fortuna. La nostra storia è ricca di leggende sui tesori, fa parte della cultura popolare.
Allora mi piaceva pensare che un personaggio razionale come il protagonista potesse avere una parte irrazionale e credere in una leggenda popolare.
La scena ha un significato importante soprattutto alla fine, perché Peppino riesce a toccare le tre punte solo quando la storia non ha più capitoli, quando è alla fine, e così scopre che in realtà non c’è nessun tesoro.
 
Tornatore sul setPuò spiegare il significato della scena finale, cioè quella del saluto di Peppino al figlio alla stazione dei treni, e che cosa vuol dire il risveglio di Peppino bambino dietro la lavagna, scena collegata alla prima?
La scena della stazione non è altro che l’allegoria della premonizione della morte del protagonista, già anticipata dalla visione delle serpi nella scena delle tre rocce. È l’ultimo saluto di Peppino alla sua famiglia.
La scena del risveglio del protagonista in classe ricorda molto l’azione del sognatore comune, che si risveglia al momento “top” del sogno, il momento di massima tensione emotiva. Quindi Peppino si risveglia al momento culmine della sua vita.
 
''Baaria''Quando ha deciso di diventare regista  e di voler mostrare la Sicilia attraverso i suoi occhi, lo ha sempre fatto da dietro la telecamera e mai stando davanti, non ha mai avuto paura di non trovare interpreti adatti a rappresentare quello che lei desiderava?
Sin da bambino amavo il cinema. Quando ho iniziato a leggere e andavo a vedere le pellicole leggevo sempre i titoli di coda: fotografia, luci, interpreti, costumi… riuscivo a capire a quale lavoro si riferivano, ma quando leggevo “regista” non lo capivo, e un giorno chiesi a mio padre. Lui mi spiegò che il regista era quello che “faceva il film”, così dissi: “ e io è quello che voglio fare!”. Non ho mai voluto far altro, e quindi mai stare davanti una telecamera.
Per quanto riguarda gli interpreti è una paura calcolata quella di non trovarne di adatti, ma questo non vuol dire che è peggio, anzi è meglio. Gli “incidenti” ti rivelano il vero fuoco della scena.
 
Qual è il suo rapporto con la Sicilia?
Ho fatto nove film, di cui quattro di ambientazione siciliana, e i restanti cinque sono comunque “siciliani” nei loro tratti. Molti forse si stancano del mio rapporto con la Sicilia, ma io sono molto legato all'isola. È un rapporto forte e definito.

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