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Percorso

“The artist” di Michel Hazanavicius

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''The artist'' locandinaNei tempi rapidi del mutamento continuo della tecnologica anche nel cinema, con conseguente rivoluzione nella fruizione degli audiovisivi, sembrerebbe bizzarro o snob realizzare un film “alla maniera del muto”, in bianco e nero, con il formato che evoca gli anni ruggenti dei film hollywoodiani classici e supportato da musiche originali o recuperate da pellicole di culto. Ma “The artist” del francese Hazanavicius, che ha incantato il pubblico e la critica a Cannes 2011, non pecca di intellettualismo e la costante citazione cinefila è perfettamente saldata alla storia, o meglio allo sforzo di raccontare la mitologia del grande schermo degli anni d’oro, come ora la può ricostruire, supportato dal senno di poi, un nostro contemporaneo. La caduta e la rinascita dell’attore famoso, la cui carriera viene stroncata dall’avvento del sonoro, non sarebbe originale. Pensiamo a come il tema è stato affrontato in passato, per esempio da “Cantando sotto la pioggia” di Gene Kelly e Stanley Donen (1952) o, nel suo versante drammatico e patologico, in “Viale del tramonto” (1950) di Billy Wilder.
 
''The artist''L’originalità di “The artist” sta nel coniugare il nostro immaginario degli anni venti attraverso figure iconiche (il protagonista che ricorda Fairbanks, con smoking, cappello a cilindro, baffetti e cagnetto simile a quello della serie “L’uomo ombra” o la giovane attrice pickfordiana, la quale, però, sa cantare e ballare come una girl delle “Zigfield follies”), oggetti evocativi, un rapporto emblematico con la realtà, che può essere rassicurante nel “silenzio” e inquietante nei suoni.
In questo senso, la scena in cui George Valentin “sente” i rumori, ma non riesce a parlare è la rappresentazione di un tipico incubo. E, in effetti, tutto il film di Hazanavicious è fatto della materia dei sogni, simili a quelli che, nelle prime decadi del Novecento, il cinema bambino sapeva instillare nel pubblico. 
 
''The artist''“The artist” e il suo successo internazionale dimostra, poi, come ci si può divertire, commuovere e riflettere con una modalità differente rispetto al linguaggio convenzionale, rispettando l’anima popolare del mezzo cinematografico. Per riuscire in questa perfetta  operazione, erano necessari attori eclettici e ironici, come il regista il quale, pur ricalcando le tracce del melodramma, non abbandona mai la traccia dell’ironia, appunto. Jean Dujardin e Berenice Bejo, sconosciuti in Italia, sono adorabili, vera forza del film. Li affiancano comprimari lussuosi come John Goodman e persino Michael McDowell, in un cameo, a ricordarci quanto l’ascesa e la caduta del mito cinematografico effettivamente sia una dura realtà.
 
8 febbraio 2012
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