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Percorso

"Marilyn" di Simon Curtis

Il consiglio di Elisabetta Randaccio


''Marilyn'' locandinaParlare, a cinquanta anni di distanza dalla sua prematura e “misteriosa” morte, di Marilyn Monroe, vorrebbe dire porsi di fronte alla sua controversa e drammatica esistenza privata e artistica come davanti a un archetipo psicologico prodotto dalla società dello spettacolo, in tutte le sue declinazioni crudeli e mitiche.

In questo senso, sono poco importanti pettegolezzi o quotidianità, comunque banali, mentre, invece, si potrebbe riflettere  sulle modalità del viaggio all’inferno, seppure consapevole, di una ragazza che aveva tutte le premesse (infanzia e adolescenza negate) per avviarsi verso la schizofrenia di un’identità privata non risolta contrapposta a quella pubblica modellata sui bisogni dell’industria dello spettacolo. Così, già prima del suo suicidio, erano chiari i meccanismi che la stavano schiacciando, così come diventa esemplare la celebre opera di Warhol che la serializza con crudezza, evidenziando il suo essere oggetto smaterializzato, seppure straordinario, d’arte.
Il cinema si è occupato di Marilyn Monroe, poco tempo dopo la sua morte, dato l’impatto segnato nell’immaginario popolare e potenzialmente  sfruttatabile economicamente. I film, documentari o fiction, su di lei, sono dal lato critico, da dimenticare, ma ciò che è mancato è, come si è accennato, un punto di vista non limitato dal gossip e, soprattutto,  evidenziante le sue ragioni di donna, comunque, “speciale”. In questo senso, “Marilyn” di Simon Curtis, è un’ennesima delusione.

''Marilyn'Se ricostruire il backstage di “Il principe e la ballerina”, il film del 1956 girato dall’attrice americana in Inghilterra per la regia del grande Laurence  Olivier, poteva essere intrigante, soprattutto per le aspettative della Monroe, la quale voleva una sorta di consacrazione “seria”  per il suo lavoro, ci chiediamo come possa interessare la storia del giovane Colin Clarke, terzo assistente alla regia, a contatto con la Diva. Seppure si tratti di una vicenda reale, raccontata da Clarke in due libri-diario, prendere come punto di riferimento la sua esperienza, è inutile e noioso. “Marilyn” non è una vicenda di formazione e Eddie Redmayne, interprete del ragazzo a cui l’attrice “spezza il cuore”, è insopportabile. Lo spettatore se ne frega dei suoi patimenti patetici, ha altre aspettative e viene deluso. Non l’aiuta la sceneggiatura strampalata di Adrian Hodges, che commette il tipico errore da manuale: iniziare un film con la voce fuori campo, perderla per strada e recuperarla nel finale.
''Marilyn'Inoltre, alcuni elementi potenzialmente rilevanti si perdono nello svolgimento in maniera banale; pensiamo al conflitto tra il metodo di recitazione classico di Olivier e quello del “Metodo”, che Paula Strasberg, ombra di Marilyn per buona parte della sua carriera, tentava di instillare alla Monroe, oppure al rapporto tra l’attrice e il terzo marito Arthur Miller, lasciato cadere in qualche battuta che, chi non conosce a fondo l’opera del drammaturgo statunitense, probabilmente non coglie nella sua profondità.
A salvare il film,  sono sicuramente alcuni degli interpreti e il direttore della fotografia, Ben Smithad, fondamentale nel ricreare il volto, la densità del colore della carnagione e del fisico (il candido diventato quasi uno stereotipo è esaltato in maniera simbolica) di Marilyn nei tratti così diversi e così uguali di Michelle Williams. Quest’ultima è efficace in un’operazione impossibile.
''Marilyn'Senza tratti caricaturali ripropone un’anima malinconica e un corpo che veniva esaltato, quasi medianicamente, dalla macchina da presa, ma non restituisce, probabilmente per colpa della sceneggiatura, l’afflato empatico, per cui, alla fine, non scatta né comprensione, né commozione per il suo personaggio.
Grandioso, invece, Kenneth Branagh nel ruolo di Olivier. All’attore inglese non sarà sembrato vero di interpretare uno dei suoi padri di riferimento nell’arte della recitazione. Branagh, nello stesso tempo, miracolosamente “riproduce” Olivier (rivedere il “Principe e la ballerina” per credere), ma, soprattutto, mette l’accento sulle melanconie, i dubbi, gli errori, le incertezze di un grande attore arrivato alla svolta della maturità, travolto dalla forza della giovinezza di Marilyn, che non ha bisogno di supporti accademici per brillare d’istinto, messo in crisi dai primi segni d’invecchiamento, deciso a rinnovarsi nello spirito e nelle scelte interpretative (Olivier, dopo il “Principe e  la ballerina”, lavorerà con il giovane e innovativo drammaturgo John Osborne).
''Marilyn'Branagh ci regala, insomma, un personaggio sfaccettato, che colpisce lo spettatore, realizzando proprio il percorso inverso a quello prodotto dalla Williams.
Per ritrovare lo spirito di Marilyn, invece, dobbiamo ancora ricorrere ai versi di Pasolini: “Sparì come una bianca colomba d’oro / La tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico / richiesta dal mondo futuro, posseduta / dal mondo presente, divenne un male mortale. /… / Ora sei tu, / quella che non conta nulla, poverina, col suo sorriso / sei la prima oltre le porte del mondo / abbandonato al suo destino di morte".
Il consiglio precedente: "Margin call" di J. C. Chander
6 giugno 2012
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