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Percorso

"La casa delle stelle" di Antonello Carboni

Ritratto d'artista: vita e opere di Antonio Amore nel nuovo documentario del regista oristanese. di Salvatore Pinna

''La casa delle stelle''Nella sua carriera di cineasta Antonello Carboni ha fatto prevalentemente dei documentari senza voce over e senza parole in scena. Immagini, solo immagini, silenzi e gesti. In “Voci della Montagna” (1998), premiato al Bizzarri, il gesto assoluto del fare il formaggio, in “Geronimo” (2000) il pittore Salvatore Garau nell’atto della creazione artistica, in “Parlami di te” (2003) una discesa fortemente ritmica nella laveria del pozzo Sanna, in “Sisters” (2004), gli antichi metodi della lavorazione del pane in Kurdistan.

Sono queste le tappe di un lungo apprendistato e di una ricerca inconclusa i cui risultati sono: l’attenzione alla natura, ai luoghi, ai gesti, ai dettagli più minuti, l’osservazione partecipante dell’etnografo, la fotografia esatta e significante, attenta a rendere levigatezze e increspature della realtà.

''La casa delle stelle''In filigrana è sempre presente una struttura narrativa tripartita, che lui ama definire neo-aristotelica. Tecnicamente consiste in uno schema che si articola in presentazione, sviluppo, chiusura. Sul piano drammatico implica una visione del mondo in cui c’è qualche antagonista che intralcia una certa regolarità della vita e che un eroe, intorno al quale si costruisce l’azione, deve superare. Questo inciampo può essere la natura, oppure gli altri, le istituzioni, il demone dell’ispirazione creativa. I risultati sono di particolare suggestione in film quasi uniconcettuali come quelli citati in cui non si sospetta una soggiacente struttura narrativa. Ma sono notevoli nei film in cui sono personaggi in carne e ossa e soggettività a farsi carico di  una loro dialettica col mondo, e che fanno parte della produzione più matura di Antonello Carboni.

''La casa delle stelle''Già in “Provvista familiare” (2006), la presenza di una struttura drammatica si fa decisamente evidente ed è connessa col tema stesso dell’opera. Vi sono presenti tre dimensioni della vita di un pastore di Santulussurgiu, padrone di una modesta mandria di vacche. L’abilità nel confezionamento de su casizzolu da parte della sorella, e il ricordo di com’era la vita una volta da parte della madre danno intensità ad una protesta rivolta a una filiera di antagonisti, dalla Regione all’Unione europea, contro cui il pastore-eroe si scaglia con risentimento.
È invece un eroe conciliato con la vita e ironico, al centro del suo ultimo film.

''La casa delle stelle''Si chiama Antonio Amore, la sua vicenda è contenuta in questa epigrafe che introduce il film: “Antonio Amore è nato a Catania nel 1918. Partito per la guerra di Etiopia tornò a Roma nel 1946. Divenne amico di Giacomo Balla. Espose le sue opere in tantissime Gallerie. Nel 1964 decise di abbandonare la penisola e trasferirsi definitivamente in Sardegna. Qui morì all’età di 92 anni.
Chi è questo artista, pittore, scultore, poeta siculo-oristanese, che ha scelto la Sardegna per sempre? Da cosa è fuggito? Che cosa cercava? E che cosa ha trovato, infine? Introdotto da una vera e propria ouverture di chitarra e fiati, l’uomo, gentile e ironico, si presenta dicendo: “Mi sono dato alla macchia. Un artista alla macchia”.

''La casa delle stelle''Tanto basta per rinfocolare la curiosità e avere voglia di vederci chiaro. In un viaggio tra la Sicilia luogo della nascita, Roma luogo dei successi artistici, e i vari luoghi del suo approdo in Sardegna, Carboni tenta di sciogliere gli interrogativi. Ne nasce “La casa delle stelle”, un documentario che è, insieme, un biopic, un’investigazione umana, e un film sull’arte.
Carboni è bravo a dirigere i vari fili della narrazione e a organizzare la materia in modo tale che lo spettatore possa arrivare a farsi da sé un’idea dell’avventura e del mondo di Antonio Amore. Una cosa sembra certa: era sardo davvero questo siciliano, che ha conservato la musicalità originaria nella parlata, ma che lamenta l’illanguidirsi della tradizione linguistica sarda, l’omologazione non controllata.

''La casa delle stelle''Perché lui sa che si incomincia a perdere la lingua e si finisce col perdere il resto.   
Vittorio Sgarbi, intervistato, dice che un siciliano che diventa sardo è “un fenomeno soprannaturale”. Però non si sa il perché della scelta dell’artista di andare in Sardegna. In definitiva forse non è importante quello che ha lasciato e perché. Oppure lo si può desumere da quello che ha trovato. Forse la risposta è nel racconto poetico e ancora sorpreso di uno dei primi sardi che Antonio Amore incontrò e che lo ospitò in una casa cantoniera che si chiama “S’Isteddu”: perché “quando la notte dormivamo in campagna, nelle notti senza luna, vedevamo tutte le stelle cadenti…”

''La casa delle stelle''Il tema centrale, se proprio deve essere cercato, è quello della libertà dell’artista. Quel lusso o quella qualità che lo rende inagibile al potere artistico, economico, politico. E che lo porta a tenersene lontano. E questo aspetto è evidente nelle sue parole e nelle sue opere. Le sue pitture, le sculture, le composizioni, con felice scelta narrativa, vengono mostrate “en raccourci”. Escluse da una centralità tematica, sono come osservate dal loro artefice di passaggio, come se percorrendo il proprio, personale, museo, facesse delle osservazioni come un qualunque spettatore.  
Sono forme non naturalistiche di sculture e pitture che evocano segni sardi ma straniati in forme allungate e dolorosamente contorte, in espressività irruenta e grottesca.

''La casa delle stelle''O in ironia pungente come la pecora-scultura. È sdraiata su un triclinio in posa lasciva, cortigianesca. È una Paolina Bonaparte di Canova trasportata nel nostro secolo. La riconosciamo come roba nostra, solo che la vediamo come non l’abbiamo vista mai.
Il film di Antonello Carboni suggerisce una considerazione alla fine. Il problema dell’arte è di essere destinata a non essere vista se non da pochi. Allora non c’è salvezza se non in una seconda vita parallela, nello spazio della visibilità audiovisiva. Insomma la pittura deve farsi cinema per mostrarsi. Del resto ci sarà pur un motivo se al principio il pittore aveva chiesto al cineasta soltanto dei videoclip che fissassero e rendessero trasmissibili a distanza le sue opere. Per fortuna, con “La casa delle stelle”,  resta impressa la caratura umana e morale, l’avventura esistenziale di Antonio Amore che si fa personaggio. E poiché questa storia cattura è un forte richiamo per le sue opere. Viene il desiderio di vederle.

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