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Percorso

Editoriale

Zedda, cagliari 2019 - vignetta di Silvia Ciccu

#Cagliari2019. E se dopo la sbruncata ripartissimo dal cinema? di Carlo Poddighe

La gestione della candidatura di Cagliari a Capitale europea della Cultura 2019 è stata un fallimento. In pochi lo hanno detto, per questo è bene ribadirlo e utile prenderne atto.

Il progetto cagliaritano che doveva portarci a primeggiare era viziato sin dall’inizio da quella filosofia che caratterizza da sempre l’operato della Giunta Zedda: iniziative impregnate di ideologia, che spesso non portano a nulla. Filosofia ben rappresentata dalle piste ciclabili cittadine. Progetto lodevole, ma disastroso nella sua realizzazione: disegnate qua e là per la città, scollegate tra loro, pericolose e che, in molti casi, finiscono nel nulla (non per niente anche queste sono state bocciate dalla Ue). Lo stesso dicasi per altre iniziative, come il Registro delle coppie di fatto o la Consulta degli immigrati, tutte trovate politicamente corrette, quanto fattivamente inutili.

Pau, Iaccarino e Zedda alla conferenza stampa

La candidatura di Cagliari a capitale della Cultura così come è stata presentata, ed è questo il vero limite, sottendeva un’idea vecchia di cultura. Un’idea, paradossalmente, borghese, anche se arrivata dalla Giunta più di sinistra nella storia cittadina. Un’idea fatta di reading, incontri e festival letterari che non riescono a togliersi di dosso un odore di provincialismo. La cultura ormai è altro, è rete ed è in rete. È sempre meno analogica e più digitale, coinvolgente e non escludente. Non più, quindi, da riccio chiuso intellettualoide che distingue chi è nel giro e chi sta fuori. Matera lo ha capito e su questo ha puntato nel suo progetto. Cagliari, la città di Video on line e di Tiscali, prima ancora del titolo di Capitale europea della Cultura, si è fatta scippare quella di Capitale 2.0, che deteneva da sempre. Affidandoci, inoltre, a un direttore artistico e a una fondazione non sardi (altro atteggiamento provinciale) abbiamo sacrificato doppiamente la nostra identità: quella storica e quella conquistata negli ultimi vent’anni. 

Ma lasciando perdere l’ideologia di fondo, anche più prosaicamente la politica culturale delle Giunte comunale e regionale si è dimostrata sempre avara con le associazioni che operano nel settore. E questo è un limite le cui conseguenze non potevano sfuggire agli osservatori della commissione. A poco è servito anche trasformare in un feudo l’assessorato regionale alla Cultura, nominando in tutti i ruoli apicali dei notabili del partito del sindaco, senza valutare altro titolo se non l’appartenenza a Sel. Lo stesso assessore, Claudia Firino, è stato mandato allo sbaraglio e nel confronto con i colleghi ha sempre avuto la peggio. Esempio ultimo ed eclatante la cannibalizzazione dei fondi alla Cultura imposta con l’ultimo assestamento di bilancio dell’assessore Paci.

''The Passion''Matera ha vinto perché non ha commesso gli errori di Cagliari e soprattutto perché di base, anche rispetto alle altre concorrenti, ha una forte caratterizzazione identitaria. Questa specificità è stata ben valorizzata nel progetto attuale, ma era forte grazie al fatto che la cittadina lucana è stata spesso protagonista in diverse e famose produzioni cinematografiche. I suoi "sassi" sono stati lo scenario del Vangelo di Pasolini (1964) di The Passion (2004) di Mel Gibson e lo saranno per Christ the Lord di Cyrus Nowraste. Ma quella che era l’anonima Basilicata sta negli ultimi anni diventando un grande set all’aperto. Un successo recente è stato Basilicata coast to coast (2010) diretto da Rocco Papaleo, mentre la Metro-Goldwyn-Mayer pensa di girare tra Matera e Cinecittà il remake di Ben Hur e addirittura una soap opera messicana, distribuita in Sud America, ha scelto la regione come set naturale per le riprese della telenovela.

Antonello GrimaldiCi permettiamo un suggerimento, dunque. Perché a Cagliari e in Sardegna non ripartire anche dal cinema per valorizzare e far conoscere città e regione? Puntare, insomma, sulla varietà geografica e culturale sarda e mostrarla attraverso la pellicola, invece di dimenticarla o nasconderla in progetti realizzati a tavolino oltre Tirreno. Il tutto sostenuto da risorse capaci di realizzare un programma serio e da una Film Commission regionale che deve iniziare finalmente a funzionare essa stessa, in primis, per poi diventare perno di tutto il sistema. Darsi le pacche sulle spalle, dirsi da soli “bravi comunque”, auto celebrarsi come vincitori morali, poco serve. Più utile sarebbe accettare la sconfitta e capire perché gli altri ci hanno superato. Le armi per vincere le avremmo avute anche noi e, se il progetto continua, come ha annunciato il Comune, potremmo iniziare a usarle, senza più annacquarle con retorica e ipocrisia.

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