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Percorso

''Senza lasciare traccia'' di Gianclaudio Cappai

''Senza lasciare traccia''

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

È un esordio, per certi versi, atipico il lungometraggio Senza lasciare traccia di Gianclaudio Cappai, già regista (quarantenne, nato in Sardegna) di cortometraggi pluripremiati, e sorprende per la scelta del soggetto e per l'abilità tecnica.

Nel film, infatti, non si ritrova la maniera tipica di certo cinema italiano orientato alla reiterazione della commedia - essendo fortunati del registro grottesco -, niente minimalismo (grado zero del riferimento neorealistico), bensì risaltano l'attenzione e l'impegno nella tecnica cinematografica, che accompagna con forza la storia attraverso importanti riferimenti formali.

''Senza lasciare traccia''Forse, non è un caso come Cappai abbia frequentato la scuola di cinema di Vittorio Storaro; infatti, la cura dell'impostazione luministica è fondamentale: colori caldi, luci e ombre ben distribuite tra interni e esterni, che sono anche quelli dell'anima, primi piani e dettagli perché, come nell'arte pittorica, è necessaria un'attenzione speciale ai corpi e alle cose per arrivare dritti al cuore dello spettatore, qualsiasi vicenda si racconti. La sceneggiatura, quindi (dello stesso Cappai e di Lea Tafuri), si adatta a una scelta di costruzione delle immagini assai particolare e consegna agli interpreti una buona parte della riuscita del film, perché emotività, ombre dell'inconscio, schizofrenia della memoria sono possibili esclusivamente con un'adesione sincera degli attori.

''Senza lasciare traccia''Cappai ha avuto la capacità di dirigere Michele Riondino, Valentina Cervi, Vitaliano Trevisan, l'insieme del cast in una prova anch'essa delicata e atipica nel contemporaneo cinema italiano, dove, a parte alcuni grandi eccezioni, si recita “istintivamente”, nella insopportabile carineria di una linea interpretativa sempre noiosamente uguale a se stessa. Ma non basta, poiché sarebbe facile schematizzare Senza lasciare traccia come un film del genere “thriller di vendetta”. L'autore ha riempito la storia con simboli solo apparentemente decifrabili. Il “gioco filmico” è una variazione sulla memoria, un trauma lontano, rimosso affiora, ma, nella ricostruzione del ricordo, si può anche sbagliare e il protagonista, accecato soprattutto dal terrore della sua malattia probabilmente terminale, crede di aver l'opportunità di chiudere violentemente un dolore antico diventato, in una sorta di somatizzazione, un “intruso” corporeo.

''Senza lasciare traccia''Ritorna in continuazione, attraverso un montaggio che non concede l'ampliarsi dell'emotività dello spettatore, ma la spezza con giusta razionalità, la metafora del quadro antico da restaurare e si riflette, formalmente, in immagini evocanti alcuni personaggi di tele rinascimentali, come i tanti San Sebastiano plasticamente torturati o certi martiri dipinti con una cura speciale nel mostrare i dettagli piagati dei corpi. La luce, poi, si fa fuoco, opprimente, soffocante nella location non casuale di una fornace, la quale ha custodito, nei suoi infernali meandri, tracce di episodi che si vorrebbero dimenticare.
Senza lasciare traccia , al di là di qualsiasi giudizio – ma un pubblico intelligente apprezzerà l'inferenza tra thriller e dramma - mostra il talento a trecento sessanta gradi di Gianclaudio Cappai, il quale sembra capace di filmare qualsiasi genere di storia, di avere potenzialità per scelte diverse: un ottimo professionista qualunque via espressiva e contenutistica voglia intraprendere.

4 maggio 2016

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