Percorso

Wenders: "In Sardegna? Ci torno ma in incognito!"

Ecco svelato perché il regista tedesco non è venuto nella nostra isola. "Per una semplice questione di tempi". Presidente Soru, ma per una volta non era meglio andare un po' più lenti? di Enrica Anedda

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Fra un dibattito e una presentazione , Cinemecum è riuscito ad intervistare il regista tedesco sul “caso Sardegna”: dopo tante polemiche sul suo ingaggio da parte del Governatore Soru, non potevamo farci sfuggire infatti l’occasione di sentire finalmente la sua stupefacente versione dei fatti. Wenders ci ha così rivelato che con la Regione Sardegna, in realtà, stava prendendo accordi, non solo per fare un film, ma per realizzare anche un libro di fotografie e una mostra.

"Poi però tutto è saltato perché non ci siamo messi d’accordo sui tempi". E ha aggiunto  “C’è stato  troppo rumore su questo progetto, la Sardegna è bellissima, voglio tornare a realizzare un bel progetto fotografico ma lo farò in incognito". Sembra quindi svanita la speranza che Wenders venga a girare un film nell’isola e ancora di più che lo faccia con finanziamenti propri… ..insomma tanto rumore per nulla. Ma passiamo alla giornata con lui...
 
Fellini per esorcizzare la crisi creativa ha realizzato un capolavoro, "Otto e mezzo";  Wenders per superare la sua crisi ha frequentato per sette anni, ogni santo giorno della settimana, il lettino di un ortodosso psicoanalista freudiano, alla ricerca della propria identità. “Se non avessi fatto quella esperienza non sarei diventato il regista che sono" ha confessato nel corso dell’incontro con Nanni Moretti. Da giovane, Wenders faceva il fotografo e pubblicava libri di fotografie, sognava di fare il pittore e frequentava la scuola di cinema. Alla fine è diventato regista.
 
 “Nei primi film mi interessavano solo le immagini, a scuola mi avevano insegnato a usare la cinepresa ma non a fermarla  e a tagliare le scene: per questo i miei primi film sono così lunghi. Al termine della scuola di cinema i miei colleghi hanno fatto dei cortometraggi a colori. Io ho usato gli stessi soldi per fare un film di tre ore in bianco nero” Summer in the city”. In un secondo tempo ho capito che accostando un'immagine all’altra potevo raccontare una storia”. Oggi voglio essere riconosciuto soprattutto come “Story teller”. Se mi fanno i complimenti per le immagini dei miei film, ci rimango male perché penso di non essere stato in grado di raccontare".
 
Wenders ha condiviso con Moretti la consapevolezza, maturata per entrambi nel corso della loro carriera, dell’importanza alla sceneggiatura. “Ancora oggi però la sceneggiatura mi fa sentire prigioniero e mi fa soffrire , mi prometto così di girare il film successivo con una sceneggiatura più libera e maggiore improvvisazione, poi però mi rendo conto che mi angoscio  per i  miei collaboratori che il giorno prima non sanno ancora come girerò il giorno dopo; così  mi prometto per il film successivo di ricorrere a una sceneggiatura di ferro  e ricomincio il circolo vizioso. Insomma in un modo o nell’altro faccio i film  sempre con molta sofferenza”.
 

 Ha così spiegato al pubblico che la sua passione rimane la fotografia “perchè sei solo, non hai bisogno di nessuno, neppure di un assistente, è tutto più facile”.  La ragione è anche un'altra inerente alla libertà di raccontare : nella fotografia non c’è una fine per forza, ogni fotografia  può essere l’inizio o la conclusione  di un'ipotetica storia. E così  al TFF Wenders, ha presentata  insieme alla moglie Donata Wenders  una mostra fotografica, allestita presso la Fondazione Merz . Pannelli luminosi che ritraggono paesaggi,  frammenti di memoria dei set  di alcuni suoi film, tra gli altri:  "One million dollar hotel", "Buena vista social club" e "Al di là delle Nuovole".  Ritratti di attori e colleghi, come Kurosawa e Antonioni. Con il regista italiano Wenders ha ricordato di aver vissuto, sul set di "Al di là delle Nuvole" nel ruolo insolito di aiuto regista,  una esperienza fantastica: il regista italiano oramai parlava a stento ma riusciva ugualmente a esprimere la sua creatività che il regista tedesco doveva trasferire nella pellicola.

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