Percorso

Segre: "Mai innamorarsi delle immagini"

Premiati a Cagliari i migliori lavori del concorso "Il cinema racconta il lavoro". Ottimi i risultati ma, come sottolineato da uno dei giurati, attenzione alle derive troppo poetiche... di Elisabetta Randaccio
 
Paolo CarboniLa serata finale del concorso “Il cinema racconta  il lavoro”, svoltasi al Cineworld di Cagliari lo scorso 25 marzo, ha riconfermato l’interesse del pubblico per le produzioni indipendenti sarde. Gli spettatori hanno affollato la sala dando, così, agli organizzatori (l’Agenzia Regionale per il Lavoro e la Societa’ Umanitaria-Cineteca Sarda) la soddisfazione, anche per questa seconda edizione, di un’ottima realizzazione frutto di un impegno durato quasi due anni. Alla manifestazione, coordinata dalla giornalista Roberta Floris, hanno partecipato Stefano Tunis, Direttore dell’ Agenzia regionale del Lavoro, Luciano Uras, Consigliere Regionale, Enzo Costa, Segretario Regionale della CGIL e Franco Manca, Assessore Regionale del Lavoro. I loro interventi si sono, benchè con taglio diverso, concentrati sulla drammatica situazione dell’occupazione in Sardegna, sulle sue  contraddizioni e su come il cinema possa, raccontandone le sfaccettature, contribuire a una discussione improntata a chiarire anche propositivamente le vie da percorrere per uscire da una crisi endemica, risultato di scelte pregresse discutibili e, spesso, fallimentari per la nostra Isola.
 
La manifestazione ''Il cinema racconta il lavoro''Dare la possibilità agli autori vincitori di realizzare i propri film - lo si è già detto altre volte - è l’elemento caratterizzante questo concorso rispetto a altri indirizzati a premiare sceneggiature originali. Si tratta anche di una scommessa, perché il cinema è un’arte complessa, che non vive solo di scrittura e, dunque, il prodotto finale è il risultato di un’elaborazione collettiva e di capacità tecnico creative, difficili da immaginare solo “sulla carta”. Le quattro opere presentate alla prova finale della proiezione, hanno suscitato interesse e dimostrato il talento dei registi che le hanno girate, seppure con differenti risultati.
Durante la premiazione ufficiale, inoltre, è stato consegnato il riconoscimento per il miglior film realizzato, un ex aequo tra “Carenas” di Francesca Balbo (vincitrice già del primo premio del concorso) e “Cattedrali di sabbia” di Paolo Carboni (terzo nella graduatoria precedente).
 
Paolo CarboniLa giuria (composta da Francesco Bussalai, Michela Murgia, Daniele Segre, Francesca Solinas e Antonello Zanda), insomma, ha dimostrato  di prediligere, allo stesso modo, due opere assai diverse, nel tema e nella qualità.
Ma le parole di Daniele Segre, durante la cerimonia, che sottolineavano come il regista, pure se dotato di talento, “non deve innamorarsi delle proprie immagini”, forse, ci danno la chiave di lettura delle discussioni avvenute tra i giurati per prendere una decisione all’unanimità.
Infatti “Carenas” di Francesca Balbo, giovane regista già premiata al “Solinas”, evidenzia proprio le affermazioni di Segre: la passione per ciò che si è filmato, non scartabile in fase di montaggio. Il documentario prende avvio da un’idea originale; infatti, è il racconto di un mestiere in estinzione: le custodi dei passaggi a livello non automatici delle ex Ferrovie Complementari della Sardegna.
 
Francesca BalboE’ un lavoro il quale alterna la frenesia di seguire degli orari rigidi, da cui dipende la sicurezza dei passeggeri e dei passanti, a momenti di “vuoto”, di lentezza, vissuto dalle donne “casellanti” con una sorta di “immobilità” mentale, come se dalla modernità precipitassero in una realtà cristallizzata, legata ad un passato tecnologicamente e culturalmente arcaico. In elevata evidenza viene posto il rapporto delle persone e dei manufatti con la favolosa natura della Sardegna in zone più che incontaminate, abbandonate dall’uomo e dove gli animali sembrano dominare, dai cavalli agli insetti. Proprio questi momenti, definiti dalle motivazioni del premio “poetici”, appaiono poco convincenti. I tempi si dilatano nel mostrare il treno che arranca nei binari, le formiche che trascinano una locusta morta, le pecore che attraversano le transenne. La “poesia” sa di autoreferenzialità e allontana l’empatia dello spettatore per le presunte protagoniste, le quali, comunque, non hanno ricevuto un particolare approfondimento narrativo o psicologico. Vecchie e giovani sembrano “assorbite” dalla natura circostante, scisse tra l’ansia di dover seguire il piano di lavoro del passaggio dei treni e l’apatia dell’attesa. Francesca Balbo dimostra sicuramente talento, ma dovrebbe aver il coraggio di rivedere il montaggio.

Paolo Carboni“Cattedrali di sabbia” di Paolo Carboni risulta un’opera inusuale nella filmografia del regista e sorprendente per sicuro mestiere tecnico e capacità di cogliere un deleterio universo lavorativo (quello della chimica in Sardegna) in decadenza e la vitalità di chi vuole ricominciare da zero l’esistenza occupazionale, rivalutando tradizioni abbandonate adattabili, opportunamente alla contemporaneità per produrre benessere. Le interviste ai protagonisti di questo affresco del cambiamento lavorativo-antropologico nella nostra isola, si saldano con efficacia con le immagini. Capannoni abbandonati, fabbriche-cattedrali morenti, il sangue dei tonni che sfuma nei residui rossastri dei fanghi delle scorie delle industrie di Portovesme. Strano, inquietante effetto rendono le ciminiere che non fumano più, stagliate nel cielo dalla luce accecante; la grande entrata della “cittadella chimica” di Porto Torres, dove, nel passato, “tutti correvano” a lavorare con grande eccitazione (come narra un ex operaio), credendo in un possibile riscatto economico-sociale, senza pensare a quanti di loro avrebbero trovato la morte per il continuo contatto con sostanze dannose per la salute. Ma chi ricorda il passato prossimo ha le idee chiare, mette in evidenza i cambiamenti culturali e sociali fondamentali provenienti dall’occupazione in fabbrica, così come, nettamente, i danni alla natura, l’inquinamento irreversibile, le malattie, l’avidità dei potenti e gli errori della politica. Paolo Carboni ha la capacità, con pochi tratti, di approfondire i personaggi non solo attraverso le loro parole, ma inquadrando le gestualità, le melanconie o la rabbia intuita negli sguardi, negli incrinamenti della voce, nelle battute ironiche. Sicuramente un film maturo, di ottima qualità.

Antonio Maciocco“Permesso?” di Antonio Macciocco è una breve fiction (vincitrice del premio NEI), gustosa e efficace. Svolge il tema della multiculturalità senza scadere né nella retorica, né nella barzelletta. Merito anche di una buona recitazione (spesso elemento di debolezza nei film narrativi sardi) degli attori (Piero Nuti soprattutto) e di una sceneggiatura vivace e coinvolgente.

“Sole nero” di Daniele Atzeni, se presenta un messaggio etico rilevante nell’analizzare l’impatto devastante, ecologicamente e per la salute, del complesso chimico di Porto Torres, cinematograficamente è poco efficace. Rimane una buona inchiesta, dove le immagini di repertorio fanno da contrappunto doloroso alla realtà attuale.
 
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