Percorso

Venezia, era già tutto previsto

Quasi scontata la vittoria in Laguna di Sokurov con il suo bellissimo "Faust". Elevata la qualità dei film in concorso. L'Italia, a parte Crialese, sarà ricordata per le polemiche e i fischi indirizzati a "Quando la notte" di Cristina Comencini. di Giovanna Branca

Aleksander SokurovCi sono film che non possono non vincere. Lo sapevano tutti a Cannes quando è stato proiettato “The Tree of Life” di Terrence Malick, e lo sapevano tutti a Venezia quando, a pochi giorni dalla fine del Festival, ha fatto la sua comparsa “Faust” di Aleksander Sokurov. Il cinema è un’arte, e il film del regista russo è arte nella sua forma più pura.

Quando il presidente della giuria di Venezia 68, Darren Aronofsky, ha annunciato il Leone d’oro di quest’anno nessuno è quindi rimasto sorpreso. Ma non è stata sollevata neanche nessuna obiezione, all’interno di un Festival in cui le contestazioni ai premi sono frequenti (basti ricordare i fischi del pubblico presente alla premiazione dell’anno scorso, e la reazione molto tarantiniana di Quentin Tarantino, che diede il Leone a “Somewhere” di Sofia Coppola).

Festival di Venezia, la GiuriaAnche in assenza di suspance e grandi sorprese, il Festival di quest’anno può però dirsi riuscitissimo. In concorso hanno sfilato film di una qualità elevatissima, anche quelli rimasti fuori dalle premiazioni ufficiali. Tra questi va ricordato in primo luogo “Killer Joe” di William Friedkin (il vecchio maestro americano autore di “L’esorcista” e “Il braccio violento della legge”), commedia nera che dà la misura della dissoluzione dei valori nella famiglia americana e che si vale di un’insospettabile prova d’attore grandiosa di Matthew McConaughey. Se il Leone d’oro non torna a casa dal 1998 in cui fu premiato “Così ridevano” di Gianni Amelio, meritato e prestigioso è il premio della giuria a “Terraferma” di Emanuele Crialese, che affronta con partecipazione il tema dell’immigrazione clandestina, e lo fa con una regia che ridà lustro alla grande tradizione italiana.

''Un été brulant''Non si può che essere contenti anche dell’esclusione da ogni premio del pretenzioso film di Philippe Garrel, “Un été brulant”, che – se è senz’altro penalizzato dalla performance di Monica Bellucci – fa il verso alla Nouvelle Vague restando solo sulla superficie delle cose, forse nella convinzione che annoiare a morte il pubblico sia garanzia di qualità. In conferenza stampa Garrel parla dei fischi ricevuti e si giustifica vaneggiando di persone che credono in Dio e non capiscono l’arte, sorprendentemente senza suscitare reazioni di sdegno, che pure sono state copiose alla proiezione del suo film. In un’altra conferenza stampa, a giochi ormai fatti, Aronofsky ha affermato di aver amato moltissimo “Shame” dell’inglese Steve McQueen, a cui è andata la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile di Micheal Fassbender (a Venezia anche con “A Dangerous Method” di Cronenberg e già conosciuto dal grande pubblico per la sua parte in “Bastardi senza gloria” di Tarantino).

''Shame''Avrei voluto premiare “Shame” molto di più, dice Aronofsky. “Dura lex sed lex”, a Venezia non si possono accorpare grandi premi (per cui se un film vince il Leone d’oro non potrà avere la Coppa Volpi, e così via). Pare tuttavia che dia stata richiesta a Muller una deroga al regolamento. Ergo, si voleva accorpare qualche premio, o dare un ex-aequo; e viste le affermazioni del presidente della giuria non è difficile dedurre che se Muller avesse acconsentito forse “Shame” avrebbe portato a casa qualche altro riconoscimento. Magari un leone d’argento alla regia, che sarebbe stato meritatissimo: il film di Steve McQueen parla dritto allo spettatore di un mondo di ossessioni e alienazioni che lo toccano da vicino, e lo fa con una maestria stilistica che si incontra raramente. Così stando le cose, il Leone d’argento va al film a sorpresa “People Mountain People Sea”, seconda opera del cinese Cai Shangjun.

Il film a sorpresa è una tradizione di Venezia ormai da svariati anni, e il vincitore del premio alla regia ha illustri predecessori quali “My Son, My Son, What Have Ye Done” di Werner Herzog e “Ferro 3” di Kim Ki Duk. Un premio così prestigioso a questo film pare un po’ esagerato, ma compensa il regista del suo coraggio per l’aver trattato le dure condizioni di vita nelle miniere cinesi, considerato che al regime basta molto meno per interdire un artista scomodo.

''Wuthering Heights''Il compenso è forse meritato anche in vista delle tribolazioni a cui il film è andato incontro durante il Festival: dopo la proiezione stampa annullata perché non funzionava il proiettore, il film è stato interrotto anche durante la sua proiezione ufficiale in sala Darsena, causa sospetti odori di bruciato. Dopo circa mezz’ora si è ripreso, ma non è certo questo il modo di vedere un film, e sorprende che al Festival di Venezia si verifichino simili incidenti. Resta comunque il fatto che molti altri film sembravano più meritevoli dell’argento. Per dirne uno, “Wuthering Heights” (Cime tempestose) di Andrea Arnold, che traspone sullo schermo il romanzo di Emily Bronte restando fedele allo spirito e alle atmosfere originali, ma introiettando una delle storie più rivisitate di sempre e ridandole corpo e vita. Il film, che divide il pubblico tra lunghi applausi e fischi - porta a casa il premio della fotografia, ed è uno dei più memorabili di Venezia 68.

''L’ultimo terrestre'' di Gianni PacinottiUltimi ma non ultimi, come sempre, gli italiani. Ad eccezione di Crialese nessun premio va agli altri due in concorso: “Quando la notte” di Cristina Comencini e “L’ultimo terrestre” di Gianni Pacinotti in arte Gipi, fumettista di successo passato alla regia.

Il film della Comencini verrà ricordato più che altro per le polemiche che ha suscitato, vista l’accoglienza a suon di risate e fischi alla proiezione stampa. “L’ ultimo terrestre” è invece una delle rivelazioni del Festival, nonché una rara perla pseudo-fantascientifica nella produzione italiana odierna. 

14 settembre 2011

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