Percorso

Il mestiere delle armi

Intervista ad Aureliano Amadei antimilitarista convinto e a 28 anni, regista esordiente con "20 sigarette". La guerra? Come diceva De Andrè "Siamo tutti coinvolti". di Anna Brotzu

Aureliano Amadei«Ho sentito la necessità di condividere e raccontare questa storia, vissuta sulla mia pelle» racconta (a Cagliari per il Marina Café Noir) Aureliano Amadei, autore e regista - con Francesco Trento – del film “20 sigarette”, e prima ancora  del libro “20 sigarette a Nassirya” che evoca mescolando ironia e dramma, come nella realtà della vita, il vero volto della guerra sotto le sembianze di una missione di pace “Antica Babilonia” in Iraq.

In Medio Oriente per girare uno sceneggiato per la RAI con la troupe di Stefano Rolla, il 28enne Amadei, antimilitarista convinto, si confronta con il tratto più umano del mestiere delle armi, gli ideali, i sogni e le aspirazioni di chi ha scelto di indossare la divisa e la realtà del “fronte” in un paese occupato: all'indomani del suo arrivo diventerà una delle vittime dell'attentato del 12 novembre 2003 a Nassirya.

''20 sigarette a Nassirya''Una storia vera che diventa romanzo-reportage e diario per immagini, con alcune scomode verità e riflessioni sulle responsabilità collettive dei conflitti: «per sempre coinvolti» come cantava Fabrizio De André?
Sognare e idealizzare la pace non basta, la guerra non riguarda solo chi sceglie, per patriottismo o per necessità, di imbracciare le armi e partire, la differenza materiale tra chi fa il soldato o l'ufficiale e chi ha la possibilità di scegliere un'altra professione diventa solo un dettaglio. Il film, come il libro, rappresenta un po' anche il tentativo di utilizzare le componenti della mia vita privata come simboli di qualcosa che coinvolge tutti noi, la nostra ambizione personale rientra in questo sistema.

Irrimediabilmente colpevoli, quindi.
In un meccanismo complesso che non si può ridurre e semplificare dividendo il mondo in buoni e cattivi, le responsabilità personali sono circoscritte. Ma la contraddizione è innegabile: ripudiamo la guerra ma le nostre ambizioni sono tipiche della società del capitale - una buona posizione e un buon conto in banca, un mestiere che ci dia soddisfazione come quello di regista, fa parte del quadro. E diventa magari inconsapevole e involontaria giustificazione di strategie politiche e militari.

''20 sigarette a Nassirya''Ed economiche?
La guerra di per sé è un “grande evento”, un escamotage che consente, in momenti cruciali e anche in situazioni difficili e di crisi come quella che stiamo attraversando, con il criterio di priorità dell'“emergenza”, di prendere tasse e farle arrivare in poche tasche controllate strettamente dai meccanismi del potere. I progetti per il ponte sullo Stretto di Sicilia, come i lavori per il G8 a La Maddalena, la TAV e l'alta velocità diventano sistemi autorizzati per prendere finanziamenti speciali: quel che avviene in ambito civile, in ambito militare trova altre giustificazioni, come esportare la democrazia e il peacekeeping.

In Iraq e in Medio Oriente, gli interessi sembrano fin troppo chiari.
Armi e petrolio: son le prime cose che vengono in mente, la risposta più semplice, forse troppo. Perché le guerre si fanno per i tessuti e per le telecomunicazioni, per i mercati e per la tecnologia, per le bevande imbottigliate; e siamo tutti coinvolti, perché poi quando i grandi gruppi economici cominciano ad andare in crisi, l'economia globale ne risente e anche il nostro stile di vita.

''20 sigarette a Nassirya''Nel film disegna un autoritratto in cui la contraddizione tra ideali e realtà quotidiana, fosse solo la libertà di scegliere, sono stridenti.
Il desiderio di realizzarsi, poter dire “io farò il regista”, anziché il soldato, è ancora un privilegio, dato dall'ambiente, dall'educazione, dalla regione del mondo in cui sei nato: nel film cerco di utilizzare le componenti della vita privata a un doppio livello: reale e allegorico. E' un film che  vuol far pensare.

Non una catarsi? O il bisogno di esorcizzare ricordi così terribili?
Il racconto in sé possiede un valore terapeutico, aiuta a comprendere e comprendersi, e non potrei negare che a livello inconscio vi possa esser stata questa spinta, e questo sollievo. Ma non avrei avuto bisogno di fare un film per questo. E neppure di pubblicare un libro.

“20 sigarette” ha avuto un notevole successo di critica, dal Festival di Venezia al David di Donatello: e nelle sale?
Per un piccolo film indipendente, l'opera prima di un regista esordiente, direi che ha superato le aspettative; è uscito in poche copie, in certe città non è neppure arrivato. Se tre milioni sarebbero un discreto successo per una grossa produzione, che uscisse subito in contemporanea con trecento copie, direi che 300mila euro per trenta copie è un risultato soddisfacente.

''20 sigarette a Nassirya''Specie con un contenuto così drammatico, seppure stemperato dall'incoscienza della giovinezza: è stato complicato arrivare al ciak?
In realtà ho avuto un sacco di problemi prima di pubblicare il libro, che avevo iniziato a scrivere già in ospedale; il film ha avuto un percorso difficile, inizialmente, come tutti i film indipendenti, o con piccole case di produzione, è normale. Anche per questo, non credo che avessero immaginato un'eco così forte. Poi ci son stati dei tentativi di inserire dei cambiamenti, specie sul finale; ma per cambiare il finale di un film devi essere uno sceneggiatore!

Come riassumerebbe “20 sigarette”?
Ho la pretesa di raccontare non solo l'altra storia di Nassirya ma l'altra storia della storia... prima che diventi l'epica dei nostri eroi, attraverso una testimonianza del vissuto reale; mentre spesso la storia ufficiale, quella con la maiuscola, è un blocco unico, senza chiaroscuri.

''20 sigarette a Nassirya''Perché al cinema?
Ci sono nato... è una passione. Mio nonno, Gianni Amadei,  mi portava sul set da quando avevo due anni; ho girato il mio primo film a cinque anni, poi ho iniziato il mio apprendistato ma mi sono anche iscritto a un'accademia d'arte drammatica per approfondire il lavoro sull'attore – e ho pure fatto l'attore per qualche anno, ma la mia strada è più la regia. Nonostante quello che è successo, rifarei la stessa scelta: “20 sigarette” è il mio primo film, ho girato molti documentari. Son due modi diversi di raccontare, ma il cinema di finzione ha una forza che il documentario non riuscirà a raggiungere: tocca le corde dell'emozione, dei sentimenti.

''20 sigarette a Nassirya''Oltre le sale, anche nelle aule, tra tra gli studenti.
Ho fatto una lunghissima tournée nelle scuole. Forse l'unico limite del film è nell'essere così reale: io racconto la mia storia, e questo le rende quasi incontestabile. Però devo dire che i ragazzi dei licei sono molto più svegli di quanto non ce li figuriamo, mi hanno messo in crisi spesso con domande molto stimolanti. Ed è lì, a scuola che si compie la magia del cinema: il film esce dallo schermo e ottiene un effetto tangibile sulla realtà, al di là delle aspettative del regista. Perché se tra mille o 10mila ragazzi di 17 anni che si sarebbero arruolati, finito il liceo, 100 non si arruolano e uno non salterà in aria su una bomba da qualche parte, avrai salvato una vita.

Amadei sul setPotenza delle immagini, o della storia?
Non vorrei sembrare retorico, io cerco sempre – soprattutto dopo quest'esperienza e quegli incontri - di essere il più aperto possibile, non credo nell'univocità delle scelte. Non avrei mai potuto fare il militare, ma non è che in sé l'indossare una divisa trasformi quella persona, o la renda peggiore di altre, potrebbe essere considerato semplicemente un lavoro, che è indispensabile avere per un riconoscimento sociale. Solo che nel mestiere delle armi,  forse prima di renderti conto di che cosa davvero significhi, a parte gli ideali, spesso sei già morto.

Progetti di un regista... “esordiente”?
Parto per l'Australia, presenteremo il film a Sidney e Melbourne, poi in Catalogna. Poi inizierò a girare un documentario sulla scalata della MGM -  la casa di produzione cinematografica Metro Goldwyn Mayer - da parte del finanziere Giancarlo Parretti. E continuo a scrivere. Racconti ma anche un romanzo storico (insieme ad Alessandro Falcone e Gian Piero Palombini) su Tiberio Mitri, pugile e attore giuliano: “Non pensavo che la vita fosse così lunga”.

28 settembre 2011

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