Percorso

Peppeddu e i suoi fratelli: la sorprendente realtà della cinematografia isolana

E' un caso che tutti i film sardi più importanti abbiano come figure centrali bambini o adolescenti?  A partire dai "Banditi" di De Seta fino all"Asse Mediano" di Mossa, ecco una carrellata di adolescenti che riflette il grande tema della cinematografia isolana: l'identità collettiva. di Salvatore Pinna

''Banditi a Orgosolo''Tra i tanti meriti di “Banditi a Orgosolo” (De Seta, 1961) c’è anche quello di aver dato vita, nel cinema sardo, alla trattazione dell’infanzia in una chiave identitaria che dura sino ad oggi. Se Michele Jossu è il perno  intorno al quale ruota la storia, la chiave tematica del film è rappresentata, infatti, da Peppeddu.

L’ educazione naturale del piccolo pastore ripercorre il tracciato attraverso il quale Michele è arrivato ad acquisire le regole di condotta che lo precipitano nel vortice che investe tutto e tutti. Da suo fratello Peppeddu apprende l’arte del pastore  e il valore del padre morto e mitizzato. Il suo apprendistato si conclude con la lezione, da lui “innocentemente” ma pienamente assimilata, della decisione di Michele di diventare latitante. 

''Sonetaula''Il film  non finisce con Michele che diventa bandito ma con Peppeddu la cui vita futura è avviata sul tracce ormai segnate. Quasi cinquant’anni dopo approda al cinema “Sonetàula” (Mereu, 2008). Lo accomuna a Peppeddu l’innocenza breve e un destino definito dall’ambiente anche fisico e dalla tradizione. Anche lui patisce l’assenza del padre e, soprattutto, sconta la pedagogia arcaica di un nonno, padre sostitutivo. A differenza del ragazzino del film di De Seta il personaggio di Mereu è messo a contatto con possibilità moderne di cambiamento che non riescono a intaccare il suo destino di malfatato. Alla fine lo risarcisce soltanto la pietas cinematografica del regista che lo trasforma, oltre la fine del film, in un avatar che forse si rifarà in una second life. Il destino di Peppeddu e quello di "Sonetàula" sono iscritti nella natura fisica dei luoghi, nel loro isolamento, nel destino che tutto determina senza scampo, nell’assenza di padri sottratti fisicamente e ingiustamente alla vita e all’educazione dei figli.

''Padre padrone''Ma non è quello l’unico destino possibile di un bambino cresciuto in ambiente pastorale, come dimostra la storia di Gavino il personaggio di “Padre padrone” (Taviani, 1977). In questo caso il padre esiste fin troppo e la sua cultura gli impone di avere un controllo assoluto  del figlio in quanto forza produttiva. L’ eroe, però, si ribella  e trova nella musica e nella scuola gli strumenti di una possibile liberazione. Sono possibili altre strade per crescere anche nel mondo pastorale oltre quella ricalcata sulla tradizione o scavata nel conflitto coi padri. C’è anche la razionalità moderna con cui il quindicenne Pietro (David MacDougall, “Tempus de baristas”, 1993) figlio di un allevatore di capre, pensa al suo futuro lavorativo. 

''Tempus de baristas''La scelta di continuare l’attività del padre allevatore, in una dimensione di azienda moderna gli fa pensare di intraprendere gli studi all’Istituto Agrario. Ma può darsi che si iscriverà all’alberghiero, dato che, come dice un amico di famiglia, “ormai non è  più tempo per i pastori è tempo di baristi”. Nell’episodio “Il mare” di Salvatore Mereu (“Ballo a tre passi”, 2003) si ha un felice transito dell’infanzia. La paura del buio, la fuga e l’ira impotente sono superate dal bambino Andrea mediante la sfida formulata con un personale linguaggio del coraggio. Il premio è la  poetica scoperta del mare. Anche Efisio (Simone Contu, “Sa regula”, 2007) vive in un paese agricolo, in una famiglia di ceto medio.

''Sa regula''Suo padre è un maestro di scuola che lo vorrebbe educare da sardo integralista. Il tema è l’identità e si svolge dentro un garbato e intrigante conflitto generazionale tra il piccolo Efisio e il padre. A questa riflessione moderna sull’identità contribuisce uno stile da commedia e un’ambientazione straniante. La scena del chiarimento tra padre e figlio, ad esempio, si svolge sullo sfondo di pale eoliche che richiamano i mulini a vento perché nel padre-maestro c’è molto di donchisciottesco. In “Arcipelaghi” (Giovanni Columbu, 2001) i bambini sono vittime, osservatori o protagonisti involontari  di una cultura adulta fatta di silenzi e bugie. Anche in questo film manca il padre ma c’è una madre che ne fa abbondantemente le veci.

''Arcipelaghi''Eppure il film intesse un processo “a parte”, alle magagne di un mondo  che piomba i bambini nel gorgo di problemi che li sovrastano. Il desiderio (che è solo ancora bisogno in “Banditi a Orgosolo”), l’assenza del padre (con la variante della troppa presenza in “Padre Padrone”), e la ricerca di una integrazione nel mondo degli adulti costituiscono il filo rosso che unisce sia i film rurali che quelli urbani. 

Jimmy (Enrico Pau, “Jimmy della Collina”, 2006) è insoddisfatto  della realtà in cui vive, della fabbrica dove dovrebbe finire a lavorare, vittima di una cattiva mediazione col proprio desiderio, finisce per deragliare. Lo salva la Collina e un donna che sa come parlargli.

''Jimmy della collina''Ma lo salva alla fine  l’accettazione di sé, come avviene anche per i personaggi di “Pesi leggeri”. Massimo (Enrico Pitzianti, "Tutto torna”, 2008) viene dal paese del nord Sardegna a cercare fortuna in città attraverso la scrittura. Ma andrà incontro a feroci disillusioni finché non lascerà l’Isola per trovare una nuova possibilità in Spagna.  C’è una  galleria di bei personaggi femminili, bambine, adolescenti o giovani alla soglia della vita, che incominciano ad affollare il cinema sardo. Fabia (Maria Teresa Camoglio, “Con amore, Fabia”,1993) è una ragazza di meno di vent’anni che osserva con un sorriso indulgente e ironico ciò che la circonda. Soffre, anche lei, la strettezza della famiglia e gli angusti confini dell’Isola.

''Sono Alice''Cerca la realizzazione di sé nell’arte e nella conoscenza, ma fuori della Sardegna. Come la deleddiana Cosima e come Gavino.
Un posto di rilievo occupa Alice (Peter Marcias, “Sono Alice”, 2006). La bambina cresciuta in un quartiere difficile, in una famiglia alle prese con angustie di ogni tipo affronta, da sola, problemi più grandi di lei. Tra fantasie infantili e l’intuizione di un mondo crudele riesce ad affermare la propria identità. Il suo futuro resta sospeso, e si ferma, filmicamente davanti al mare di Sant’ Elia. In attesa di “Bellas Mariposas” altre adolescenti alle prese con una problematica integrazione nel mondo sono protagoniste di due bei film come “Tajabone” (Salvatore Mereu, 2011) e “Asse mediano” (Michele Mossa, 2011). 
''Tajabone''In questi film di periferie urbane i modelli di riferimento non sono più soltanto le subculture di quartieri difficili quanto quelli della cultura globalizzata. I desideri, le posture, gli ammiccamenti dei ragazzi e soprattutto delle ragazze, sono mutuati  da quel padre-madre padrone che è la televisione.
Non può essere un caso che tutti i film sardi più importanti abbiano come figure centrali dei bambini e degli adolescenti. Quali possono essere le ragioni? Forse perché, sul piano realistico, è in questa delicata età di “transizione” e di “trasmissione” che si gioca la partita decisiva dell’ identità individuale. Forse perché, sul piano simbolico, l’età di formazione è la metafora del percorso dell’identità collettiva che è il “grande tema” dei film sardi da “Banditi a Orgosolo” in poi. Ma anche perché sul piano del linguaggio cinematografico con l’infanzia e l’adolescenza si può mettere in campo uno sguardo  sgombro da pregiudizi e da verità precostituite. Ha qualcosa di emblematico il fatto che Massimo, il protagonista di “Tutto torna”, sia miope. La miopia costringe il ragazzo a guardare con attenzione, a mettere continuamente a fuoco  una realtà complessa, sorprendente e indecifrabile.

5 ottobre 2011

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