Percorso

L'Antigone d'or a "L'uomo senza cellulare"

Fra l'omaggio a Stefania Sandrelli che ha presentato “Cristina Cristina” e un sostenuto consenso di critica e di pubblico alle produzioni di giovani registi del Medio Oriente, si è chiusa la 33esima edizione del Cinémed di Montpellier. di Raffaele Cattedra

Stefania SandrelliVAI ALLA GALLERIA DI ROSI GIUA

“L’uomo senza cellulare” (Man Without a Cell Phone), opera prima del giovane regista palestinese  Sameh Zoabi ha vinto l'Antigone d'or. Il film, una coproduzione transnazionale che ha coinvolto quattro paesi (Francia, Palestina, Belgio, Israele), racconta di un giovane ragazzo arabo-israeliano che passa tutto il tempo a parlare al cellulare con i suoi amici, cercando come tutti i suoi coetanei, di trovarsi una fidanzata, sia essa musulmana, ebrea o cristiana (ma lui è arabo-palestinese).

Storia di ordinario quotidiano contemporaneo, il film è una bella commedia che, con un ritmo piacevole e con ironia, affronta attraverso un tema ambientale (la protesta contro l'istallazione di un'antenna di una compagnia telefonica israeliana nei pressi del suo villaggio) la questione dell'ingiustizia verso la minoranza arabo-israeliana della complessa società di Israele.

''L'uomo senza cellulare''Ma è il lungometraggio egiziano “Le donne dell'autobus 678” del giovane regista e sceneggiatore Mohamed Diab che ha ricevuto il tributo degli spettatori di Montpellier (con due premi : quello del “pubblico” e del “giovane pubblico”). Un altro film ironico, impegnato e divertente che racconta della battaglia di tre donne del Cairo (appartenenti a tre diversi ambienti sociali, l'aristocratica Nelly, la giovane borghese Seba e la popolare Faiza) alleate contro il maschilismo dominante nella vita quotidiana della capitale egiziana. A partire da una serie di strani incidenti – il ferimento di diversi uomini colpiti nelle loro parti “più vulnerabili” – occorsi sull'affollatissimo autobus della linea 678, si apre l'inchiesta condotta da un grasso, simpatico e acuto commissario di polizia.

''Le donne dell'autobus 678''L'inchiesta rivela l'intelligente e disperata trovata, frutto della complicità di queste donne, decise caparbiamente a difendersi dai “palpeggiamenti” dall'umiliazione e dalla supremazia subita dagli uomini.  Tema femminile, affrontato da un regista che non è una donna, il film esprime tutta la freschezza della primavera araba, aprendo uno squarcio sulla sua realtà ordinaria.
Il premio della critica è andato invece a “Il giardino di Hanna”, un film della regista israeliana Hadar Friedlich, realizzato grazie anche alla semplicità di bravi attori non professionisti. La protagonista è Hanna, un'ottantenne che ha vissuto gran parte della sua vita in un Kibbuz di cui è stata fondatrice. Ormai in pensione, dopo una vita dedicata al lavoro collettivo, Hanna è costretta ad abbandonare le sue attività e si sente improvvisamente inutile.

''Il giardino di Hanna''Un film poetico – forse eccessivamente lento e lungo. Un film che – anche qui attraverso il ruolo di una donna - affronta il tema della vecchiaia, e in sottofondo gli effetti del processo di privatizzazione dei Kibbuz israeliani, senza però volutamente affrontarne la dimensione ideologica e politica. La regista, come ci racconta in un'intervista, ha vissuto la sua infanzia in un Kibbuz, e ha voluto rendere omaggio soprattutto ai pionieri di questo universo di vita collettiva, basato sulla solidarietà. Ma è un mondo, secondo lei, ormai superato e infatti la regista si sente personalmente più prossima alla dimensione della figlia di Hanna, che decide di lasciare il Kibbuz dove ha vissuto per andare a gestirne un altro, come direttrice : metafora di un processo di “individualizzazione” sociale che appartiene alle generazione successiva a quella dei pionieri.

''My Land''Ricordiamo, inoltre, il bel documentario del regista Marocchino Nabil Hayouch, già presente in altre edizioni a Montpellier, che avrebbe meritato un premio nella sezione documentari. “My Land” è un reportage di grande intensità, intelligente e originale, che dà la parola a dei vecchi rifugiati palestinesi che vivono da più di 60 anni nei campi profughi del Libano. Dal 1948 essi non hanno più rimesso piede nella loro terra di Palestina. Parole nobili, ricolme di poesia, di frustrazione e di tristezza, ma al contempo immagini di grande dignità e di coraggio. Queste interviste sono proposte a dei ragazzi israeliani, ventenni, che vivono proprio su quelle terre e in quei villaggi da cui i palestinesi sono stati cacciati.

''Io sono qui''Spesso ignari, lontani o indifferenti da questa storia che appartiene a un passato di cui non si sentono né partecipi né responsabili, questi ragazzi danno comunque un volto umano alla memoria fra due realtà in conflitto.

Storia di esilio volontario e denuncia politica su un registro fresco e leggero, con una fotografia suggestiva che fa volare lo spirito - dommage - : il bel cortometraggio di Mario Piredda “Io sono qui” avrebbe anch'esso meritato un riconoscimento a Montpellier.

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9 novembre 2011

 

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