Percorso

Columbu e l' "antologia" dei corti

Il regista chiude il festival etnografico di Nuoro con un'opera corale, collettiva sul tema del "Fare Cinema in Sardegna". "Ho fatto alcune riflessioni sul cinema. E le racconto". di M.E.T.

 A chiudere la prima edizione di "Etnu" il Festival dell'Etnografia di Nuoro, è stato il film documentario del regista Giovanni Columbu. Columbu intitolato "FARE CINEMA IN SARDEGNA". La manifestazione, tenutasi dal 23 al 26 giugno, si è articolata in una serie di eventi ed esposizioni per offrire un quadro completo sulle pratiche della ricerca etnografia. In questa cornice, l'opera di Columbu, "Fare cinema in Sardegna" si offre come un succoso breviario degli autori sardi. Gavino Ledda, Antonello Grimaldi, Salvatore Mereu, Enrico Pau, Gianfranco Cabiddu, Piero Sanna e lo stesso autore si sono interrogati sulle modalità del come fare cinema in Sardegna.
In settantadue minuti. A precederli, un prezioso prologo di Vittorio De Seta.

Columbu, ci racconti il film

Si tratta di una antologia di riflessioni e di racconti fatti da alcuni dei registi che hanno realizzato dei film in Sardegna. Gli autori interessati sono sette, compresa una mia autointervista, dove io stesso parlo del mio lavoro. Fondamentale il prologo di Vittorio De Seta, una piccola ma pregnante cornice che definirei ideologica e morale che contiene tutto il quadro delle ragioni per fare cinema.

Com'è nato il tema di questo documentario?
Volevo stimolare una riflessione e un confronto perché mi sembra che una certa coesione degli autori sia indispensabile per promuovere e far crescere nel modo migliore tutto quello che riguarda le opportunità produttive in Sardegna. Ma soprattutto ritenevo importante ragionare sugli stili e sui percorsi creativi e produttivi di ognuno che a mio parere, per potersi rinnovare, devono diventare patrimonio collettivo. Così ho raccolto le riflessioni mie e dei miei colleghi. Si parla delle storie, dei progetti che si ridefiniscono sul campo, degli attori che spesso non sono professionisti e che in diversi casi parlano in sardo. Si parla anche del modo di dirigere gli interpreti e di effettuare le riprese e infine del montagggio, l'ultimo importante momento di composizione e in certi casi riprogettazone dell'opera.

A proposito del suo progetto su "Gesù" nutre ancora qualche speranza sui fondi della Regione?
Direi di si. Io confido sul fatto che al momento decisivo potrò avere tutti i necessari aiuti, pubblici e anche privati, perché l'opera comporta coinvolgimenti vastissimi e renderà possibile una grande crescita per la cinematografia sarda, per la cultura e per il senso di appartenenza della Sardegna. Ma in questo momento sto lavorando per definire un percorso esterno alla Sardegna, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione. Voglio solo dire, per ora, che l'opera è immensa ed è ovviamente anche molto ardua.  Per la prima volta mi trovo nella condizione di chiedere ai miei interpreti di recitare una storia accaduta circa duemila anni fa, in un paese lontano dal nostro. La cultura e la sensibilità dei sardi diventerà il filtro attraverso il quale ripercorrere e far rivivere un accadimento che è patrimonio universale e che mantiene una grandissima e quasi spaventosa attualità.

Come mai non è stato ancora approvato un progetto così ambizioso?

Di difficoltà ne ho incontrate molte. ma sono un po' fatalista e mi sembra che anche le difficoltà fino ad ora mi abbiano permesso di approfondire e rendere ancora più forte il progetto.

A che punto è la legge sul cinema?
Stanno per comporre la commissione che dovrà valutare le proposte di film. Poi ci saranno i bandi.

Perché il suo nome è legato ai documentari?
Forse perché concepisco anche la fiction come una rappresentazione che debba avere valore di documento. O perché ho fatto sopratutto documentari, anche se sempre orientati a cogliere qualcosa che riguardasse l'interiorità e la percezione soggettiva. Documentari in genere prossimi alla fiction. Potrei dirle, per esempio, che la critica più severa che ho ricevuto per Arcipelaghi, quasi una stroncatura nelle intenzioni di chi l'aveva espressa, è stata che Arcipelaghi non meritava neppure di essere giudicato come un film perché non era un film ma un documentario. Ci ero rimasto un po' male, sulle prime, perché Arcipelaghi in realtà è un film, dedotto da un romanzo e da una sceneggiatura, ma poi ho sentito gratitudine nei confronti di chi aveva espresso quel gudizio, un certo regista tedesco, perché mi ha permesso di chiarire meglio a me stesso la strada che stavo percorrendo. E di confermarla. Fare dei film che si offrano allo spettatore con la stessa intensa verità di un documentario.

Come e cosa comunica un documentario?
Per quello che mi riguarda cerco di non rappresentare ma di fare in modo che persone e fatti possano rappresentarsi. Un'immagine rubata in genere comporta una violenza, determina quel temuto furto dell'anima che in realtà è un esclusione o un impoverimento dell'anima. Il regista di un documentario, ma anche di un film, sollecita, preordina, guida l'azione sul set e al tempo stesso ne è spettatore. Come gli attori, deve per un verso essere il più possibile preparato e consapevole e per un altro favorire tutto quello che può introdurre sul set motivi di spiazzamento. Rendere possibile una scena e poi lasciare che questa viva di una sua forza e di una sua dinamica interna, anche imprevista. Ma non si possono stabilire regole perché tutto deve accadere per la prima volta, come nella vita.

Perché in Sardegna i registi stanno utilizzando così tanto il linguaggio del
documentario?

Probabilmente perchè tutti avvertono che la Sardegna è un mondo sconosciuto e troppo spesso travisato e che tuttavia può trasformarsi in una grande, nuova ed efficace metafora delle vicende umane universali. L'altro motivo è che tutto sommato i documentari costano meno dei film. Si possono realizzare anche senza industria del cinema. Però credo che bisognerebbe soprattutto cercare di fare dei film.

Se dovesse scegliere?
Un documentario può essere bello e importante come un film, ma in generale un film può dire più di un documentario.

 
Nelle foto, alcune immagine del Festival "Etnu".
 
 
 
 
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