Percorso

Timi e quella "fottuta paura"

Premio Ubu come miglior attore, il protagonista di "In memoria di me" è alle battute finali dell'ultimo film di Labate. «Ho bisogno di un mese sabbatico», rivela. Per andare in vacanza? «No, per raccontarvi la mia vita». di Cristiana Wagner

 Foto di Chico De Luigi
Speriamo che a settembre, nell’ultimo film di Montaldo, quell’ombroso di Filippo Timi non abbia “saturno contro”, altrimenti rischia di saltare la sua partecipazione alla veltroniana festa di Roma e, cosa ancor più grave, non arrivare ai fasti settembrini del Lido di Venezia. Premio Ubu 2004 come miglior attore under 30, il perugino Timi, di una sensualità a dir poco bestiale, è lo strepitoso protagonista oltre che dell'ultimo film di Ozpetek anche della seconda prova di Saverio Costanzo (“In memoria di me”).
Un successo dietro alla cinepresa a dir poco casuale: Timi infatti tiene in particolare alla sua carriera di scrittore: non a caso, lo scorso maggio, era tra i finalisti del premio Cala di Volpe con “Tutt'al più muoio” (editore Fandango) scritto a quattro mani con Edoardo Albinati. Libro intriso di una scrittura dolorosa e intensa, che esprime ottimamente il Dna del personaggio.
 
Nonostante la giovane età (è stato Orfeo, Danton, Perceval, Satana, Odino e ha interpretato il monologo “La vita bestia”), Timi non è autore nato ieri. Scrive da anni. Soprattutto poesie. Ha vinto concorsi e realizzato sceneggiature. Sotto la direzione di Barberio Corsetti, che lo reputa tra gli attori più dotati degli ultimi anni, si è autoprodotto anche delle parti personali che poi ha interpretato a teatro. Il suo rapporto con la scrittura è molto fisico («Ho un corpo che veramente mi autoesprime: desideri, fame, voglia, per me fare uno spettacolo è molto sessuale, nel senso alto, del rito, è amare, far l'amore»). Prima ancora di diventare attore, girava l'Italia vincendo gli Slam Poetry, le corride della poesia: dietro alla telecamera è arrivato per caso, accompagnando un amico a un'audizione a Pontedera. L'amico lo hanno scartato, lui è salito sulla scena e non è più sceso. A Milano, il 4 luglio, in occasione della Milanesiana, ha steso il pubblico con la performance “Credo in Dio e altre frasi impronunciabili”, monologo di violenta bellezza che entra dalla testa e staziona lunghe notti nel cuore.
 
 Attualmente è sul set di “Signorina Effe” di Wilma Labate, storia dei 35 giorni dello storico sciopero a Mirafiori nel 1980, raccontato attraverso le parole d’amore di una ragazza del sud (la bella Solarino), indecisa tra un operaio (Timi) e un bel dirigente (Gifuni). A fine luglio, quando smetterà di girare, ha deciso di prendersi un mese sabbatico, per scrivere il suo secondo libro (<questa volta da solo>, rivela). Nell'attesa di leggerlo, vederlo, ascoltarlo, fiutarlo, chiudiamo con una sua citazione. Molto sentita (anche da chi scrive): “E’ che ho una paura fottuta di amare. Eppure solo l'amore può salvarmi. Evidentemente qualcosa mi si è richiuso. È molto forte la sensazione di baratro, di abisso. È come se fossi costretto ad amare e basta, cioè amare l'amore, in generale. La sensazione che non esiste un essere umano in grado di accogliermi. Perché… non lo so il perché. Sto ancora tentennado…”. Sipario.
 
(Foto di Chico De Luigi)
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