Percorso

Mangini e Pasolini, cronaca di un "amore"

Lei è una delle sceneggiatrici più brave d'Italia. Lui il cantore più crudo e appassionato del dopo guerra. Insieme hanno fatto la storia del cinema. L'intervista. di Elisabetta Randaccio

Cinemecum.Pier Paolo PasoliniCecilia Mangini è una sceneggiatrice e regista eccezionale. Mentre, negli anni cinquanta, si spegnevano i fuochi del neorealismo, proseguiva il cammino importante del documentario moderno, sempre tesa a mostrare realtà difficili della contraddittoria società italiana...
In Sardegna ha girato per la Rai, negli anni sessanta, una esemplare inchiesta sul pugilato come riscatto dalla povertà di tanti ragazzi isolani.
 
Nei giorni scorsi è stata a Cagliari, dove il circolo del cinema Lab 28, in una sua interessante rassegna sulle periferie, le ha dedicato una serata con la proiezione dei suoi storici documentari. La incontriamo, con grande piacere, proprio in questa occasione.
 
 cinemecum locandina StendaliAlcuni dei suoi film, visti stasera come Ignoti in città, La canta delle marane, Stendalì, sono commentati da scritti toccanti di Pier Paolo Pasolini; come è avvenuta la collaborazione?
Il testo di Pasolini è stato un valore aggiunto per i documentari. Ciò che volevo raccontare in Ignoti in città e ne La canta delle marane proveniva da una esperienza personale. Infatti, giunta a Roma, negli anni giovanili, vidi  come un intero quartiere della capitale era stato “deportato” nelle periferie, per lasciar posto ai lavori monumentali di via della Conciliazione. Diventata regista, ho sentito come necessario portare sullo schermo questi disperati. Pasolini è intervenuto a documentario montato. Ha preso appunti e, poi, ha realizzato i suoi commenti. Per me, La canta delle marane è un testamento anticipato di Pier Paolo. Si capisce con chiarezza il suo desiderio di essere annesso nel mondo delle borgate, di avere la “cittadinanza” di ragazzo di vita; rimpiange la gioia e gli istinti antiautoritari di quel mondo. Per Stendalì il metodo è stato lo stesso: Pasolini ha utilizzato una traduzione del 1870 dal greco salentino del canto rituale funerario, ma gli ha dato una veste nuova, commovente.

Ignoti in città fu censurato...
Sì! Dapprima proibito, considerato “istigatore a delinquere” perchè si vedevano due ragazzini rubare dei soldi ad un edicolante e riuscire a scappare. In seguito, ebbe il divieto ai 18 anni, che era un vero danno. Infatti, a quell’epoca i documentari venivano abbinati ai lungometraggi e, se c’era un divieto così vistoso, si poteva essere proiettati esclusivamente con film inadeguati. Il problema fu, ancora una volta, l’attacco contro Pasolini, che ne aveva scritto il commento parlato. Erano gli anni della censura e dei sequestri di Ragazzi di vita e Una vita violenta.

 Cinemecum.Pier Paolo PasoliniIl documentario in quegli anni era sentito come un arricchimento del lungometraggio che introduceva?
Lo stato riconosceva al documentario la funzione di formazione di nuovi talenti. I grandi registi esordienti nel secondo dopoguerra da Antonioni a Zurlini, hanno iniziato con questo genere cinematografico. Il tre per cento degli incassi della proiezione (comprendente il film “principale”) andava alla produzione del documentario. A volte, l’abbinamento era bizzarro, a volte a un film “di nicchia” si appaiava un documentario che la censura voleva “emarginare”. Alla fine, il pubblico si è disaffezionato al prodotto. Le commissioni che dovevano selezionare i documentari, poi, se volevano affossarne qualcuno, non gli davano il cosiddetto “premio di qualità”. A me è capitato due volte, con Divino amore e con Essere donna, che, però, è stato il mio lavoro più conosciuto. Anche oggi, restaurato, è tra i cortometraggi maggiormente visti su internet.
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