Dimensione Roma
di Mirco Pani
Si sono appena spente le luci del Festival del film di Roma giunto ormai alla sua ottava edizione. Ancora una volta è un film italiano, “TIR”, che raccoglie il massimo riconoscimento facendo seguito ai consensi ottenuti da due film che parlano di Roma: il “Sacro GRA” di Gianfranco Rosi, premiato con il Leone d'Oro al festival di Venezia e “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino ha recentemente ottenuto la candidatura all’Oscar per il miglior film in lingua non inglese.
L’immagine della città di Roma ha eccitato la fantasia degli operatori del mondo cinematografico fin dagli albori. La straordinaria quantità di possibili scenari ha permesso la realizzazione di numerosissimi film che hanno raccontato l'evolversi della dimensione di vita della città nell'arco dei secoli, sfruttando ciò che Roma spontaneamente offre oppure reinventandola sui set di Cinecittà.
La prima ricostruzione della città antica coincide con la nascita del filone dei colossal che, affermatasi nella prima metà del secolo scorso, trova subito in “Nerone e Agrippina” (1914) un illustre esempio di rappresentazione della vita romana ai tempi della città imperiale. Fanno seguito “Quo Vadis?” di Gabriellino D’Annunzio del 1924 e Scipione l’Africano di Carmine Gallone del 1937. Per effettuare alcune riprese del film di Gallone, concepito nell'ottica della propaganda di regime a sostegno della campagna d'Africa, vengono realizzate imponenti ricostruzioni di templi di epoca romana repubblicana nell’area del Quadraro, nella stessa area in cui nel gennaio del 1936 viene posta la prima pietra di Cinecittà che , progettata dell’architetto Gino Peressuti, viene inaugurata nell’aprile 1937 anche se realizzata solo parzialmente rispetto al disegno originale. Nella nuova struttura, nei primi cinque anni di attività, vengono girati un centinaio di film e realizzate scenografie che ricostruiscono Roma antica in diverse accezioni: da quella seicentesca de “La Fornarina” di Enrico Guazzoni, a quella ottocentesca di “Via delle Cinque Lune” di Luigi Chiarini.
Successivamente negli anni della guerra la produzione cinematografica italiana subisce una caduta verticale mentre cresce progressivamente la programmazione di film americani nelle sale italiane. Nel 1944 Cinecittà viene devastata, e di lì a breve fioriscono i film girati in esterno. Sono i capolavori del neorealismo di Rossellini e De Sica tra cui i celeberrimi “ Roma città aperta” del 1945 e “Ladri di biciclette” del 1948. In questi film Roma appare devastata dai bombardamenti e le ferite degli edifici sono sfondo e cassa di risonanza per i drammi dei personaggi. L’architettura, esaltata dalla scelta delle luci, racconta una dimensione interiore ancor prima che spaziale con un enfasi simbolica attinta, nel caso di "Ladri di biciclette", da modelli pittorici caravaggeschi. Il linguaggio colto del cinema neorealista trova però difficoltà a rapportarsi al grande pubblico, che vuole rimuovere gli orrori della guerra e riappropriarsi della propria città: è la Roma della ricostruzione che viaggia sul doppio registro della commedia all’italiana che incarna lo spirito "caciarone" e la città testimone dell’evoluzione dello stato sociale raccontata ne “Il ferroviere” di Pietro Germi del 1955.
Questo salto evolutivo di narrazione riferito alla crescita sociale, trova negli anni ’60 in Pier Paolo Pasolini uno dei suoi maggiori esponenti. In “Accattone” (1961), “Mamma Roma” (1962), “La ricotta” (1963) Pasolini racconta le periferie romane attraverso il forte contrasto tra i dialoghi, espressione del linguaggio popolare e le immagini attinte dagli esempi pittorici dei grandi maestri dell’arte figurativa, attribuendo una dimensione aulica alla quotidianità della vita dei quartieri popolari. Gli scenari squallidi delle periferie vengono esaltati da una fotografia dai chiaroscuri marcati e dal montaggio che alterna primi piani a campi lunghi. Pasolini però mostra anche il cuore della città: ne“La sequenza del fiore di carta” del film “Amore e Rabbia “ del 1968. Alle immagini a colori di via Nazionale, si sovrappongono immagini in bianco e nero di realtà contemporanee drammatiche e cruente. Questo scenario fa da palcoscenico alla spensieratezza di Ninetto Davoli eletto a simbolo del disimpegno sociale, della colpevolezza dell’innocenza criticata aspramente da Pasolini: “ci sono momenti nella Storia in cui non si può essere innocenti, bisogna essere coscienti; non essere coscienti vuol dire essere colpevoli”.*
Un’altra Roma singolare è la città di affezione dei giri in Vespa di Nanni Moretti nel film “Caro Diario”. Il regista racconta in parole e immagini alcuni quartieri della città rivolgendosi al proprio diario. Parla della Garbatella un importante esempio di edilizia popolare progettato nel 1920 dagli architetti Giovannoni e Piacentini ispirato ai modelli delle città giardino inglesi: “ il quartiere che mi piace di più….. Ma non mi piace vedere solo le case dall'esterno, ogni tanto mi piace vedere anche come sono fatte dentro E allora suono a un citofono e faccio finta di fare un sopralluogo, che sto preparando un film...". Moretti parla poi di Spinaceto, quartiere realizzato in un arco di tempo compreso tra gli anni ‘70 e gli anni ’80 a sud-ovest di Roma in prossimità del raccordo anulare, nato come quartiere dormitorio ma che gradualmente ha saputo trovare un propria identità arricchendosi di negozi e spazi verdi: “un giorno ho letto anche un soggetto che si chiamava Fuga da Spinaceto; parlava di un ragazzo che scappava da quel quartiere, scappava di casa e non tornava mai più ... Spinaceto, pensavo peggio.
Non è niente male". Infine, Casal Palocco concepito negli anni ‘50 come quartiere residenziale complementare all’intervento dell’Esposizione Universale del ’42. Malgrado nel quartiere siano presenti alcuni esempi di ville progettate da alcuni maestri del razionalismo italiano, tra cui Adalberto Libera, il regista parla esclusivamente del suo aspetto di quartiere esclusivo destinato alla borghesia: “Ma perché sono venuti qui trent’anni fa?.....Roma trent’anni fa era una città meravigliosa …..”. Ma volendo focalizzare la nostra attenzione sui film di Sorrentino e Rosi non possiamo prescindere dai capolavori di Federico Fellini, “La dolce vita” del 1960 e Roma del 1972.
Fellini in questi due film racconta le notti della mondanità e le realtà popolari della " Festa de' Noantri" utilizzando immagini girate in esterno o ricostruite a Cinecittà e facendo riferimento alle arti figurative contemporanee: " Dobbiamo fare una scultura picassiana, romperla a pezzi e ricomporla a nostro capriccio". ** La dimensione della città, la dimensione dello spazio così come la dimensione umana diventano astratte e assumono una forma surreale. In particolare nel film "Roma" la città storica, e la città moderna sono in contrapposizione. Nell'episodio del Grande Raccordo Anulare sotto la pioggia la vita che pullula intorno a Roma viene raccontata in forma di documentario anche se le immagini dei camion che trasportano animali, i carri armati, i fumi delle fabbriche e i manifestanti che bloccano il traffico assumono una valenza onirica da incubo.
Veniamo, dunque a " La grande bellezza" e a “Il Sacro GRA“, che gli autori propongono all’attenzione di critica e pubblico internazionale per raccontare ancora Roma nell'evoluzione contemporanea delle tante anime che da sempre convivono all’interno della città rendendo i doverosi omaggi alle opere di Federico Fellini.
Anche “La grande bellezza” orbita, come del resto “La dolce vita”, attorno a un giornalista, Jep Gambardella. la cui carriera di scrittore, limitata alla pubblicazione di un unico libro, si è presto interrotta a causa dell’incapacità riuscire a trovare contenuti per un nuovo libro. Ma l'horror vacui che blocca la sua ispirazione è lo specchio del senso di vuoto che percepisce intorno alla sua vita.
Sullo sfondo di Roma, tempio della bellezza, Jep rinnova i riti della mondanità ormai svuotati dai sogni dei tempi della “La dolce vita”. Le notti scorrono intrise di trasgressività trite e ritrite, affollate da amici vittime di idee irrealizzate e da figure evanescenti. Se “La dolce vita” raccontava un mondo che viveva un sogno, “La grande bellezza” è intrisa dell’amarezza della disillusione. La bellezza di Roma, città eterna, è in costante contrapposizione allo scorrere della vita futile. Dice lo stesso regista: "Il film è una dicotomia tra sacro e profano. Per me che sono ateo il sacro è tutto ciò che è degno di essere ricordato. Il profano resta il dimenticabile….. è un film sullo spreco della vita. Gli esseri umani sprecano la vita troppo spesso nel dimenticabile. E io è questo che ho cercato di mostrare “. *** E’ dunque quasi invertito il ruolo tra personaggi e scena: la bellezza di Roma è mostrata in tutto il suo splendore, mentre sono i personaggi a fare da fondale scenico nello scorrere della propria vita o muoiono senza scuotere l’immutabile composta severità della città.
Il “Sacro GRA” è un documentario scaturito da un’idea del paesaggista Nicolò Bassetti e dalle riflessioni dell’architetto Renato Nicolini contenute nel suo testo “La macchina celibe”. Una strada, “l’anello di saturno” come l’aveva definito Federico Fellini, costellata di mondi paralleli alla città di Roma. Mondi che non vengono percepiti nel percorrerla e che a loro volta non percepiscono la stessa città di Roma. Il GRA secondo Nicolini “è un luogo dove la città, Roma, la si può solo immaginare”**** l’asse dividente per antonomasia “un gigantesco serpente cinetico, figlio del boom economico e della motorizzazione di massa, moderna muraglia che dal dopoguerra cinge la Città Eterna” *****.
Il film è dunque la metafora della ricerca di un identità perduta, l'identità del "non luogo", un posto indefinito che ha però la capacità di riassumere tutte le contraddizioni e le identità parallele della città di Roma. Se “la grande bellezza” rappresenta l’apoteosi dell’architettura intesa come qualità estetica, nel “Sacro Gra” al contrario è lo stesso raccordo anulare, tempio della mobilità urbana, che incarna il fallimento dei modelli urbanistici astratti dell’idea di pianificazione degli anni 70. Nel film documentario l’assenza di qualità urbana si contrappone alle qualità umane dei personaggi: il barelliere dell’ambulanza del 118 che soccorre le vittime degli incidenti stradali, oppure il botanico che cerca di salvare un oasi di palme dalla devastazione del punteruolo rosso così come il pescatore di anguille sul Tevere.
Personaggi di peso differente miscugli di volgarità e misticismo: gruppi di prostitute e giovanissime "cubiste", insieme a devoti che presenziano ad una "apparizione della Vergine" concorrono a raffigurare l’articolarsi del paesaggio che riassume i caratteri e la complessità della Capitale.
* Intervista citata su Pagine Corsare: Pierpaolo Pasolini “ La sequenza del fiore di carta”.
** Intervista a Federico Fellini tratta dal programma televisivo “Io e l’EUR di Luciano Emmer citata in “Roma tratta da “Molti sogni per le strade, immagini ed immaginari di Roma nel cinema” di Bruno Mariano nel testo Cinema tra Realtà e Finzione a cura di Elisabetta Bruscolini . Centro Sperimentale di Cinematografia.2000
***: Sorrentino: La grande bellezza è non dimenticare” Il cinema e il gioco dell’Arte. Katia Ricciardi, Repubblica 05 11 2013
**** “Renato Nicolini, un flusso di idee” Il corriere della sera, 15 11 2012
***** “Sacro GRA” la ricerca del GRA(L) di Fabrizio Tassi, Cineforumweb 05 09 2013
20 novembre 2013