Fa centro il Sicario di Rosi
La storia raccontata da Gianfranco Rosi premiata alla Casa del Cinema di Roma con il Doc/It Professional Award. Una stanza, la numero 164, di cui non vi dimenticherete facilmente. di Giovanna Branca
Certe storie sembrano incredibili, anche per il cinema. Figurarsi in un documentario. Eppure è proprio l’ “incredibile” sicario di Gianfranco Rosi – El Sicario Room 164 – ad aggiudicarsi il 17 dicembre, alla Casa del Cinema di Roma, il Doc/It Professional Award conferito dall’Associazione Documentaristi Italiani e giunto quest’anno alla sua seconda edizione.
La storia del documentario, che è passato per un gran numero di Festival tra cui Venezia 67 nella sezione Orizzonti, è raccontata da chi l’ha vissuta in prima persona, il sicario del titolo, in una stanza d’ albergo di Ciudad Juarez. Con il volto coperto da un fazzoletto nero – sulla sua testa pende una taglia da 250.000 dollari – il sicario racconta i venti anni della sua vita trascorsi al servizio di un cartello della droga messicano e la sua successiva conversione religiosa, che lo porta ad abbandonare il suo “mestiere” e alla fuga.
Attorno a lui il mobilio è coperto da lenzuola bianche per far risaltare la sua persona, interamente ammantata di nero nonché l’unica del film: il solo oggetto dello sguardo della macchina da presa.
La narrazione passa interamente attraverso le sue parole; nessuna ricostruzione, nessuna digressione dalla stanza 164. Il cinema compresso alla molecola prima del suo potenziale: testimoniare la storia già trascorsa di un uomo rinunciando a qualsiasi narrazione per immagini, puntando tutto sul potere evocativo della parola e del non mostrato (e non mostrabile), un altrove già compiuto di cui qualsiasi immagine non potrebbe mai pienamente rendere conto. La storia del sicario è di una violenza che sfiora – appunto – l’incredibile; la stessa veridicità della sua persona è stata oggetto di polemiche da parte di molti scettici.
Ma tant’è che questo “cinema nell’ assenza del cinema” si aggiudica un meritato riconoscimento per come sa individuare una strada efficace e rigorosa nel documentare la realtà. La realtà di un uomo, che è però strettamente connessa ad uno dei temi più pressanti della contemporaneità. Riconoscimento conferito da un’associazione di professionisti del settore nata proprio allo scopo di valorizzare il cinema documentario; meritato perché si vale di un metodo originale e coraggioso e riesce nello scopo di far empatizzare lo spettatore con un uomo terribile ma allo stesso tempo umano. E lo fa senza ricorrere a nessun escamotage che blandisca il desiderio del pubblico di vedere, e quindi addomesticare, ciò che sarà per sempre irrappresentabile.
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